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5 giugno 2014Trasporto aereo

Lupi: Piu' voli su Malpensa. Sara' l'hub europeo dei cargo

Il responsabile del dicastero: «Ad Air France e ai “capitani coraggiosi” preferivo l’ipotesi Lufthansa»
di Elisabetta Soglio

Ministro Maurizio Lupi, si è mai pentito di non aver sostenuto, nel 2008, il passaggio di Alitalia ad Air France? 
«Il problema non sono i pentimenti postumi o tardivi, ma affrontare la situazione adesso. Nel 2008 mi ero detto contrario, dall’opposizione, al progetto del governo Prodi perché ritenevo che Air France non fosse il partner ideale e pensavo che sarebbe stato meglio stringere un’alleanza con Lufthansa. Chi oggi rimpiange Air France, sa quali sono le condizioni in cui versa? Sa che sta facendo ristrutturazioni pesanti con oltre settemila esuberi perché anche loro stanno vivendo drammaticamente la crisi del settore?». 
Però avremmo incassato il doppio e ci sarebbero state migliori condizioni per i lavoratori. Non conta? 
«Il problema vero non è quanto incassavi allora o i costi sociali, ma discutere sull’asset strategico che una compagnia rappresenta». 
Quindi, non era stata una posizione sbagliata quella del 2008? 
«Resto convinto che quella alleanza sarebbe stata sbagliata, cosi come è stata sbagliata la cordata dei cosiddetti capitani coraggiosi. Il nostro errore, piuttosto, è stato un altro». 
Quale? 
«Non avere mai fatto una politica integrata del trasporto e della mobilità e non avere considerato che dal 2009 il mercato e' cambiato e si sono affacciati nuovi paesi, a partire da quelli orientali. Su questo abbiamo sbagliato, anche se ricordo che lo Stato dal 2009 non ha più messo un euro nella società». 
E le casse integrazioni? E gli ammortizzatori sociali? 
«Certo, quella vicenda è costata in termini di ammortizzatori sociali, e moltissimo. Come purtroppo sono costati analoghi interventi per salvare altre grandi realtà aziendali». 
Torniamo agli errori? 
«Non ci siamo accorti che mentre si faceva l’alta velocità e prendeva piede il low cost, il mercato cambiava profondamente. Errore è stato non aver sviluppato un progetto di sistema di trasporti integrato: abbiamo finanziato l’alta velocita e non l’abbiamo collegata ai due più grandi aeroporti, Malpensa e Fiumicino. Abbiamo messo il treno in concorrenza con l’aereo senza vedere che si stava modificando l’offerta del corto raggio. Non abbiamo avuto visione strategica e di sviluppo e questo si paga». 
Perché dunque essere soddisfatti dell’accordo con Etihad? 
«Perché dopo tanti anni, se questa cosa andrà in porto, siamo davanti ad un grande investimento estero basato su un piano industriale per un asset strategico del Paese e significa che dall’estero si torna a credere nell’Italia». 
Su Malpensa la politica milanese e lombarda la richiama con forza, lei che è milanese. Sta abbandonando l’aeroporto? 
«Io sono contento anche dei richiami che ricevo, ma invito tutti a guardare il piano industriale, prima di criticare. Lasciamo parlare i numeri: oggi Malpensa con Alitalia ha 11 frequenze intercontinentali alla settimana e trasporta 250 mila passeggeri. Se passa da 11 a 25 frequenze e raddoppia, come scritto nel piano, a 500 mila i passeggeri trasportati è valorizzazione o depauperamento?». 
Ma non prevarrà Fiumicino? 
«Non si può chiedere che da lì non parta piu nessuno: anche allo scalo romano cresceranno le frequenze e il nuovo posizionamento di Alitalia sarà sul lungo raggio. Ma il piano prevede anche che Malpensa diventi un hub europeo del cargo e questo è un altro elemento complementare». 
Sta rassicurando Pisapia e Maroni? 
«Certo. E se adesso Malpensa conta così tanto, perché in questi ultimi 5 anni tutti difendevano solo Linate? Il gioco allo scaricabarile non funziona. La mia visione è chiara: nel piano nazionale degli aeroporti abbiamo scritto che Malpensa è scalo strategico di tutto il nord ovest e gli altri aeroporti fanno sistema con Malpensa». 
Maroni sostiene che migliaia di posti di lavoro sono a rischio. 
«Quelli ci sono se chiude Alitalia e se gli aeroporti non fanno fa più sistema. Chiedo a tutti di informarsi prima di criticare: in questo caso, i sindacati si sono dimostrati più responsabili della politica».