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21 gennaio 2015Generale

Cento giorni a Expo: pronte 80 strutture su 100, ma molti progetti non saranno realizzati

Il 7 febbraio nascerà la Carta di Milano, il protocollo di intenti. Corsa contro il tempo. Già venduti 7,5 milioni di biglietti
di Elisabetta Soglio
 
Cento giorni all’Expo. Mercoledì l’orologio dell’esposizione segna per l’ultima volta una data a tre cifre. L’apertura dei cancelli, il primo maggio, è ormai a un passo e i lavori sono in fase di continua accelerazione. In cantiere sono impegnati con turni di 20 ore al giorno oltre tremila operai che, quando cominceranno gli allestimenti degli interni, supereranno quota quattromila. Il gran via vai di camion, auto e ruspe viene regolato da un codice stradale interno, con tanto di segnalazione di velocità massima consentita (15 km all’ora). Nel frattempo, grazie ai tour operator e ai rivenditori autorizzati, sono stati prenotati 7 milioni e mezzo di biglietti: sempre più vicini, dunque, alla quota 10 milioni che il premier Renzi aveva indicato come obiettivo prima del taglio del nastro.
E proprio il presidente del Consiglio sarà a Milano il 7 febbraio prossimo, con una nutrita schiera di ministri, per partecipare alla giornata di lavori che darà forma e contenuto alla Carta Milano: il documento di impegno sui temi di Expo, dalla lotta allo spreco al diritto al cibo fino all’agricoltura sostenibile, che verrà sottoposta ai Paesi presenti ma anche ai visitatori dell’esposizione. Nella corsa contro il tempo si stanno cercando di recuperare i ritardi accumulati soprattutto sulla zona che interessa al nostro Paese: quel Padiglione Italia dove, accanto al palazzo, saranno in mostra le eccellenze del nostro territorio e, fra gli altri, avrà casa anche l’Unione europea. E se il consorzio di imprese bresciane che si è fatto carico della realizzazione dell’Albero della Vita, ha già quasi terminato le carpenterie ed è pronto a montare la struttura nel centro della Lake Arena, oltre 130 operai specializzati stanno installando la modernissima copertura di Palazzo Italia fatta di vetri e i pannelli in cemento realizzati con un materiale studiato ad hoc da Italcementi.
Quasi concluse anche le passerelle costruite per collegare il sito alla Fiera, cioè alle metropolitane e alle ferrovie, e a Cascina Merlata, dove avrà sede il Villaggio delle delegazioni internazionali dei Paesi presenti all’Expo. I cluster, gli spazi dove più Stati saranno raggruppati in base ad un prodotto o ad un clima che li caratterizza, sono praticamente consegnati, come 11 delle 12 aree di servizio con i bagni, i punti di sosta e ristoro. E intanto il commissario straordinario Giuseppe Sala sta seguendo in prima persona la campagna promozionale e di comunicazione che in questi prossimi mesi diventerà ancora più intensa soprattutto in Italia e soprattutto sui canali tivù. Perché l’Expo deve diventare (anche) «una festa di tutto il Paese».
Qualcosa negli ultimi mesi si è mosso. I segnali ci sono: i biglietti richiesti all’Expo Gate a Natale e nelle filiali di Banca Intesa, i ragazzi (14mila domande, più dei 10mila posti) che si sono candidati per diventare volontari, l’attività nelle università, le start up che stanno nascendo. Ma da fare ancora ce n’è. Che cosa ne è stato della città che il 31 marzo del 2008 festeggiava la vittoria di Parigi? Che cosa ne è stato delle aspettative costruite attorno a Expo? Perché è anche questa la domanda da farsi quando il conto alla rovescia è diventato implacabile. In passato, Expo è stata utilizzata come il chiodo a cui appendere qualsiasi tipo di promessa, dalle migliaia di posti di lavoro alla ripresa dell’economia fino alla possibilità di disegnare radicalmente Milano attraverso opere, infrastrutture, cantieri.
Un evento salvifico, capace di curare ogni male: non sarà così, non sarebbe potuto esserlo. Un risultato, però, Expo lo ha già portato: all’estero, dalla guida Lonely Planet al New York Times, si è tornati a parlare di Milano come una meta del 2015, a riscoprirla. In piena crisi economica, la strategia della giunta è stata chiara: abbandonare la visione faraonica di un tempo e puntare all’essenziale. Fare in modo che la città possa presentarsi in ordine, trasformata in una sorta di palcoscenico lucidato per gli appuntamenti che dovranno farla vivere. Le novità ci saranno, come l’eredità più evidente che lascerà: la nuova Darsena. Ma a 100 giorni, non si sa ancora che cosa sarà del milione di metri quadrati di Rho-Pero quando i padiglioni saranno smontati. È ancora la domanda fondamentale a cui le istituzioni dovranno rispondere. Per acquistare le aree sono stati spesi soldi pubblici, e soldi pubblici sono stati spesi per allestirla. Il successo di Expo (e il giudizio dei milanesi), alla fine, dipenderà anche da cosa rimarrà. 
 
Il grande evento avrebbe dovuto curare anche un altro male storico: colmare il gap di infrastrutture della Lombardia, far correre opere come la Pedemontana di cui si vaneggiava da decenni. Ma è stato un errore pensare di agganciare alla locomotiva qualsiasi strada e desiderio. Negli anni l’elenco si è sempre più assottigliato ed è cresciuta la lista dei collegamenti (oggi ne conta 23) rimandati «oltre l’orizzonte del 2015». Il capitolo delle infrastrutture connesse si presenterà all’appello con diverse mancanze: si tenta di consegnare almeno entro l’estate l’ultimo spezzone della Zara-Expo che dovrebbe portare ai padiglioni le auto che arriveranno da fuori città, per la Rho-Monza si punta a una miniversione, la metropolitana 4 inaugurerà nel 2022, non prima del 2016 il treno tra i terminal 1 e 2 di Malpensa. Anche le Vie d’acqua non saranno terminate (ci sarà solo il collegamento con l’Olona) e adesso bisognerà dire se un altro impegno — destinare parte dei fondi per curare le alluvioni di Seveso e Lambro — si potrà mantenere.
 
Dopo le bufere giudiziarie, quello di Expo è un cantiere che è stato necessario rimettere sui binari. Per i tecnici, molti ritardi sono stati recuperati e le strutture sotto la diretta responsabilità della spa ormai viaggiano oltre l’80 per cento. I primi tre cluster (cacao, riso e caffè) sono praticamente pronti per essere consegnati ai Paesi. Entro la prima metà di febbraio arriveranno anche gli altri, così come termineranno le architetture di servizio che accoglieranno bar, ristoranti. Il grosso degli allestimenti interni partirà a marzo. Ed è a quel punto che i 3.500 operai che oggi lavorano 20 ore al giorno supereranno quota 4mila. Il mondo viaggia ancora a velocità differenti: 20 dei 53 Paesi che stanno costruendo un padiglione autonomo, chiuderanno i cantieri alla fine del mese, altri sono ancora indietro.
 
Tra i fronti su cui è ancora concentrata l’attenzione c’è il padiglione italiano. Il Palazzo principale, dopo le semplificazioni fatte al disegno interno, ha recuperato il tempo perduto. Per le strutture lungo il cosiddetto cardo si arriverà con il fiatone. E poi c’è l’Albero della vita: la struttura inizierà a essere montata nei prossimi giorni. Resta la luce accesa sulla gara (3,9 milioni) per le tecnologie, passata sotto la lente dell’Autorità nazionale anticorruzione: è andata deserta. Almeno un operatore interessato, però, ci sarebbe stato. Perché non si è presentato? Ci sarebbero stati problemi tecnici per caricare sulla piattaforma informatica i documenti necessari. Per questo la spa ha prolungato i termini di una settimana.
 
Expo ce la farà, dicono i tecnici. Dopo i ritardi nella consegna delle aree (alla fine i terreni sono entrati tutti nella disponibilità della spa solo nell’estate del 2012), dopo le battute d’arresto, il maltempo, dopo le inchieste e gli scandali, gli appalti commissariati e i tanti ostacoli che qualsiasi cantiere deve superare. Ma è anche questo un altro punto da mettere in conto fin d’ora: per farli correre, quei lavori, per accelerare il percorso e risolvere i problemi, Expo pagherà un prezzo. Per avere il bilancio esatto bisognerà ancora aspettare. È una delle partite più complesse che si devono chiudere, quella degli extracosti, su cui sono all’opera anche l’Autorità nazionale anticorruzione e l’Avvocatura dello Stato.
 
Sono state dettate linee guida e c’è una strategia precisa: a partire dagliappalti più delicati — rimozione delle interferenze, piastra, Palazzo Italia — si cercherà di gestire complessivamente varianti e riserve presentate dalle aziende, di chiudere le grane del passato e i “premi” di accelerazione. E se alla fine la rete protettiva per difendere i cantieri dalla mafia o (con l’arrivo di Raffaele Cantone in emergenza) dalla corruzione funzionerà, questa potrebbe essere davvero una lezione da replicare in futuro.