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30 ottobre 2015Generale

L'Expo dopo Expo, nuovo inizio con la Silicon valley tricolore: rischi e opportunità

Dal riutilizzo dello spazio di Rho alle attrazioni per i turisti. Finisce l'esposizione ma bisogna salvarne l'eredità. Per lasciare Milano al centro della scena mondiale
 
di ETTORE LIVINI
 
Il dopo-Expo di Milano inizia con un'impresa da brividi: cambiare tutto (ci sono da smontare i padiglioni, bonificare un milione di metri quadri di terreno, reinventare un'area grande come 140 campi di calcio) senza cambiare niente. Calare il sipario sulla manifestazione, salvando però l'eredità che lascia al paese: quel cocktail di sinergie istituzionali e tra pubblico e privato che ha trasformato il disastro annunciato da molte Cassandre nel successo festeggiato urbi et orbi oggi. L'asticella delle aspettative è altissima. Gli alberghi del centro pieni, le file interminabili ai tornelli di Cascina Merlata, "l'energia ritrovata" (copyright del New York Times ) e la nuova Darsena stracolma di gente ogni sera hanno abituato male un po' tutti. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha affidato a Milano e Lombardia il compito di "fare da locomotiva a un nuovo sviluppo sostenibile per l'Italia". "Il difficile però  -  ammette il Commissario Giuseppe Sala  -  inizia adesso".
 
L'ora X di questo nuovo inizio è fissata. Dopo sei mesi di passione e 21 milioni di visitatori l'Albero della Vita spegne luci e giochi d'acqua, Cardo e Decumano si svuotano per l'ultima volta e il sito chiude i battenti. Il 2 novembre riaprono gli ingressi. Non per i turisti, ma per camion e operai incaricati di smontare come un grande Lego l'intera struttura. Spariscono l'alveare della Gran Bretagna e la rete elastica del Brasile. Finiscono nei container i 17mila pezzi di legno che rivestono l'inarrivabile  -  salvo che per pochi eletti  -  stand del Giappone. E allora Milano e Lombardia avranno davanti il compito più delicato: dimostrare come l'alchimia che ha reso possibile il miracolo  -  poco più di un anno fa il sito era ancora solo una distesa di fango  -  può diventare ordinaria amministrazione.
 
Il primo banco di prova del rinascimento civico meneghino è dietro l'angolo. E nasce, è il caso di dirlo, sulle ceneri dell'Expo. Cosa succederà all'area dell'esposizione da dopodomani? La "fase due", riconosce Sala è la più complicata. Spesso in Italia, passata la festa, si gabba lo santo. E il rischio che i terreni di Pero-Rho  -  orfani delle infrastrutture di Azerbajan, Iran & C.  -  si trasformino nell'ennesima cattedrale nel deserto c'è, con buona pace degli 1,3 miliardi di soldi pubblici investiti qui.
 
Come fare per evitarlo? Squadra che vince, dicono le regole auree di sport e business, non si cambia. E il tentativo della politica nazionale (nell'azionariato del sito entrerà il Tesoro a fianco di Comune e Provincia) è lasciare in campo team e ricetta che hanno costruito il successo della manifestazione: un'idea di sviluppo chiara, una stanza dei bottoni snella più un manager con poteri forti per garantire il rispetto di master plan e tempi.
 
Il piano decollerà on un cronoprogramma (in teoria) vincolante: smobilitazione del sito entro il 2016, via ai lavori nel 2017 e conclusione entro il 2020. Il progetto sarà definito a breve. I bookmaker però danno per certo che attorno all'Albero della vita  -  e al parco previsto su metà dell'area  -  sorgerà un polo tecnologico-universitario dove replicare le sinergie trasversali sperimentate negli ultimi mesi. L'idea è semplice: in Lombardia si registra il 30% dei brevetti italiani, qui ha sede il 27% delle start-up hi-tech. Ci sono le eccellenze del sapere come Statale e Politecnico e una rete di imprese che genera un Pil superiore a quello dell'Austria. L'area di Rho, come propongono atenei e Assolombarda, potrebbe diventare il baricentro di una mini-Silicon Valley tricolore. Ospitando un campus universitario e un hub per centri di ricerca e incubatori dei privati. "Esistono già diverse aziende interessate  -  conferma Fabio Benasso, ad di Accenture e responsabile per Assolombarda di "Milano post-Expo"  -  e sarebbe un modo per pianificare con intelligenza una realtà capace di competere ad armi pari a livello europeo". Lo Stato metterebbe circa un miliardo, i privati i soldi necessari per le loro strutture.
 
Il sogno si potrà realizzare, sono convinti tutti, solo se i semi piantati in questi mesi riusciranno a germogliare. Tutti plaudono oggi alla fruttuosa collaborazione bipartisan tra Comune e Regione. Sotto la Madonnina però nessuno ha dimenticato i tre anni di guerra tra Letizia Moratti e Roberto Formigoni che hanno paralizzato i lavori. L'eredità dell'Expo, dice uno studio della Sda Bocconi, può valere 6 miliardi per Milano anche dopo la chiusura. Incassarli o meno dipende solo da una variabile: se a gestire questo capitolo sarà la politica in versione Dr. Jekyl o quella vestita da Mister Hyde. Si vedrà.
 
L'altra faccia della "fase due" è quella che andrà in onda fuori dall'esposizione. La fiera universale è stata un elettrochoc anche per il resto della città: i Navigli hanno cambiato volto. Galleria Vittorio Emanuele (in un trasparente do ut des con i privati) è tornata agli antichi splendori, i musei sono pieni, il Pirellone è stato oscurato dalle avveniristiche torri in vetrocemento di Porta Nuova in un fermento immobiliare che non si vedeva da anni. Bici, auto e scooter in affitto (a quota 350mila abbonati) hanno tolto 25mila vetture dalle strade, riducendo ai minimi da dieci anni i giorni in cui le polveri sottili sforano i limiti Ue. Carta buona chiama carta buona. L'orgoglio civico ha stimolato il mecenatismo dei milanesi illustri, con la nascita della Fondazione Prada e del Silos di Giorgio Armani. Durerà questa luna di miele? Contagerà il resto d'Italia come spera Mattarella? Dipende in buona parte da come la città e il paese riusciranno a gestire l'eredità di questi incredibili sei mesi di Expo.