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11 ottobre 2015Generale

Dopo Expo, bene pubblico-privato

Il presidente di Assolombarda sul piano «Human Technopole» del governo
«Si dia un ruolo alla Statale, bisogna riempire l’hub della conoscenza di giovani»
di Michelangelo Borrillo
 
«In questa città occorre una grande alleanza tra pubblico e privato per un piano strategico con al centro l’innovazione». Soltanto qualche giorno fa, il 26 ottobre, Gianfelice Rocca, presidente di Assolombarda, aveva auspicato, durante l’assemblea generale dell’associazione, un investimento di questo genere per il dopo Expo. E l’«Human technopole. Italy 2040», il progetto che il governo ha preparato per dare un futuro all’esposizione universale milanese, va proprio in questa direzione. «È un’ulteriore conferma dell’impegno del governo per fare del dopo Expo un hub della conoscenza. E la tempestività con cui l’esecutivo si è mosso — spiega oggi Rocca dopo l’anticipazione del piano sul Corriere — dà il senso dell’urgenza dell’intervento. È importantissima la rapidità, e per questo occorre darsi delle date. Expo aveva un traguardo temporale, per il dopo Expo dobbiamo darcelo. Io direi che occorrono un masterplan — disegno urbanistico dell’area — e un business plan — fondi e mezzi — entro giugno dell’anno prossimo».
Presidente, che idea si è fatto del progetto «Human technopole»?
«Premesso che ho molta stima di un’eccellenza come quella dell’Istituto italiano di tecnologia, della cui fondazione sono stato consigliere, penso che tra i driver di questo nuovo hub debba esserci anche l’Università Statale. L’”Human technopole” è pensato per occupare un’area di 70mila metri quadrati, è quindi un tassello che pesa per il 10-15% sui 500-600mila metri quadrati per i quali si sta cercando un futuro. La Statale può rappresentare circa il 50% di quell’area. E la parte rimanente può essere destinata a iniziative private».
Come pensa che i privati possano sostenere il piano?
«Per un progetto del genere servono gli investimenti, che per Statale e Iit sono capitali pubblici. Una volta che verrà fatto un piano urbanistico e si deciderà quanto costerà a metro quadro l’aerea destinata alle aziende, potranno intervenire i privati. Che nella mia visione possono arrivare a un peso anche del 40%. Adesso, però, occorre concentrarsi sui mezzi necessari al piano e sulla governance. E farlo presto».
Continua a insistere sui tempi. Eppure Expo si è chiusa da meno di 10 giorni.
«È vero, come è vero che il mondo è pieno di idee ma di idee realizzate ce ne sono pochissime. Del resto la tempestività del governo dà il senso dell’urgenza. Il tema adesso diventa quello degli strumenti: serve, cioè, un management adeguato e dotato di fondi e mezzi per un nuovo accordo urbanistico, per il masterplan e il business plan. Per questo è fondamentale darsi una data».
Che interesse possono avere i privati a sviluppare un progetto con il pubblico?
«In tutte le città in cui le università si proiettano nel mondo, il beneficio va anche alle aziende: gli esempi di Boston, Chicago e San Francisco lo dimostrano. Quando si sviluppa l’economia del sapere e dell’innovazione, migliorano tutte le attività, anche quelle artigiane e commerciali. Questo è il disegno di fondo che fa dell’hub della conoscenza un terreno di interesse per le aziende. Poi ci sono i giovani».
In che senso?
«È importante che quell’area che rappresenterà il futuro di Expo sia piena di studenti, non solo di centri di ricerca. Solo così sarà un luogo vivo. È arrivato il momento, a 100 anni dalla scelta che venne fatta di costruire la Città degli studi nell’allora periferia, di trasferire l’università nell’area Expo. Le infrastrutture, dall’Alta velocità a Malpensa, non mancano».
E il contributo delle aziende per rendere “viva” quell’area quale potrà essere?
«Quello di trasformare la scienza in tecnologia. Oggi la Lombardia può contare sul 28% delle pubblicazioni scientifiche ad alto impatto e sul 30% dei brevetti italiani. Ma se la produzione scientifica per abitante è di poco inferiore a quella della Baviera, la produzione tecnologica, misurata in brevetti per abitante, è solo il 25%-30% di Baden-Württemberg e Baviera. Non riusciamo a sfruttare il fatto di avere ottimi ricercatori a costi competitivi per generare nuove imprese e rafforzare le esistenti».
E come pensa si possa imprimere una svolta?
«Con una Milano Steam: ovvero scienza, tecnologia, engineering, arte e manufacturing. Abbiamo stimato che una evoluzione della città lungo questo asse possa generare un maggior valore aggiunto fra i 17 e i 24 miliardi di euro».